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L’attività fisica aiuta a prevenire il tumore seno


L’attività fisica? E’ un’autentica cura. Le percentuali di sopravvivenza sono migliori nelle donne più “atletiche”, operate di tumore al seno, rispetto alle pazienti più pigre.


L’attività fisica aiuta a prevenire i tumori della mammella e migliora il decorso stesso della malattia, soprattutto se al momento della diagnosi la donna è in sovrappeso od obesa.



L’importanza dell’esercizio come fattore di prevenzione e come coadiuvante delle cure, già in parte nota ma spesso sottovalutata, è stata ribadita in uno studio pubblicato di recente sulla rivista Cancer, nell’ambito del quale i ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Reasearch Centre di Seattle (Stati Uniti) hanno focalizzato l’attenzione su un gruppo di donne cui era stato diagnosticato un carcinoma al seno, andando a verificare le abitudini specifiche prima della diagnosi e negli anni successivi. In totale, sono state considerate più di 1.200 donne che al momento della scoperta della malattia (avvenuta tra il 1990 e il 1992) avevano tra i 20 e i 54 anni; a tutte è stato chiesto di riferire che tipo di sport praticavano e con quale frequenza all’età di 13 e 20 anni, nonché nei 12 mesi precedenti la diagnosi.



Considerando tutto il periodo compreso tra la diagnosi e gli otto-dieci anni seguenti, è emerso chiaramente che le pazienti che nell’anno precedente avevano praticato meno attività fisica erano anche quelle con i tassi di sopravvivenza peggiori: in generale, infatti, dopo aver corretto i dati in base al tipo di malattia, allo stadio del tumore, alle condizioni economiche, al grado di scolarizzazione e a una serie di altri fattori, la diminuzione del rischio di morte per le più atletiche si è rivelata del 22 per cento rispetto al rischio medio delle donne più pigre.



Inoltre, un buon livello di esercizio fisico è stato associato a un calo del 30 per cento del rischio di morte nelle donne obese o in sovrappeso al momento della diagnosi; tale effetto è stato invece molto meno visibile se al momento della diagnosi la malata aveva un peso nella norma, ed è scomparso se la donna era sottopeso.
«Questo è il primo studio nel quale si dimostra un effetto diretto dell’esercizio fisico sulla mortalità da tumore della mammella - ha commentato Page Abrahamson, prima autrice della ricerca. - Se questi dati verranno confermati, bisognerà pensare seriamente alla possibilità di inserire programmmi specifici nei normali protocolli di cura».



Già, proprio questo è il punto: il ruolo della ginnastica e della riabilitazione all’interno di un percorso che prevede interventi chirurgici, farmaci, radioterapia, terapie di supporto, ma che non sempre si occupa con altrettanta attenzione di aspetti molto importanti da diversi punti di vista quali il pieno recupero della funzionalità fisica e l’esercizio regolare anche dopo le cure.



A tal proposito spiega Carlo Cisari, primario fisiatra dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara: «La situazione generale dei malati ocnologici è cambiata in modo radicale negli ultimi anni. Oggi, in moltissimi casi, di cancro non si muore più e il tumore diventa una malattia cronica, con la quale convivere per molto tempo. In un’ottica di sopravvivenza molto più lunga - continua Cisari - non è più giustificabile un’accettazione passiva della disabilità, quando è recuperabile, e neppure un atteggiamento che veda il movimento come un extra che non ci si può permettere dal punto di vista fisico. Per quanto riguarda i disturbi collegati alle terapie (come, nel caso della mammella, il dolore alla spalla che segue una mastectomia, ma si potrebbe citare l’incontinenza che affligge molti uomini operati alla prostata e in generale la spossatezza che colpisce la maggioranza dei malati) stanno finalmente partendo anche in Italia programmi specifici, perché sta crescendo la consapevolezza da parte di tutti: dei malati ma anche dei medici, sollecitati in tal senso dagli stimoli provenienti dal mondo del volontariato.



Non c’è dubbio che molto resta da fare, anche a livello culturale, ma si può dire che qualcosa sta cambiando e che, probabilmente, quello che oggi è un inizio tra non molti anni sarà considerato la norma. D’altronde, ormai è chiaro che l’attività fisica non è un fattore facoltativo per persone particolarmente tenaci, ma un vero e proprio strumento terapeutico, verso il quale il malato va sensibilizzato e quando serve aiutato, proprio come accade per tutti gli altri aspetti della cura».

13/10/2006

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